Genene Jones


Child killer

Stati Uniti – 2 vittime accertate (probabilmente oltre 60)

Genene Jones era stata una persona sfortunata, perseguitata dai lutti. Poi divenne lei stessa l’incarnazione della sfortuna per quelle che sarebbero divenute le sue vittime. Genene era un angelo della morte, uno dei primi: da colei che doveva aiutare in ospedale i malati ne divenne invece carnefice. E a farne le spese furono soltanto bambini.

Nacque il 13 luglio 1950 in Texas e subito venne data in adozione a una famiglia che contava già tre figli adottivi. Era una ragazzina introversa, si sentiva spesso inadeguata, ma a segnarla profondamente furono le morti di tre membri della famiglia: il fratellastro più giovane morì dopo che una bomba artigianale che stava costruendo gli esplose in faccia, quindi il cancro poi le portò via il padre e il fratellastro maggiore. La madre in seguito ai lutti si diede all’alcol. Genene diciottenne si finse incinta per farsi sposare dal fidanzato Jimmy Harvey Delany, un ex compagno di scuola. Scoperto l’inganno lui si arruolò e partì per due anni, lei nel frattempo si concesse a una sfilza infinita di amanti ai quali sistematicamente raccontava di essere stata violentata da bambina per suscitare pena e attenzioni. Quando Jimmy tornò fece davvero un figlio assieme a lui e quindi si lasciarono comunque. Sarebbe rimasta single, ma non priva di amanti, per gli anni successivi.

Genene Jones dopo aver tentato la carriera di estetista decise di diventare infermiera. Dopo essersi diplomata nel 1977 venne assunta al San Antonio Methodist Hospital, ciononostante dopo otto mesi venne licenziata perché la sua condotta oltrepassava le sue competenze: si sbilanciava in diagnosi e suggeriva trattamenti. In seguito venne assunta dal Medical Center Hospital di Bexar al reparto terapia intensiva.

Era ossessionata dal poter avere qualche malattia, al minimo acciacco o malessere si lamentava in modo plateale per indurre compassione e si sottoponeva a qualsiasi visita specialistica anche più volte, in due anni ne fece oltre trenta.

Nel 1981 riuscì a farsi trasferire nel reparto pediatrico nella sezione dei casi più gravi, la sua grande ambizione, aveva ammesso. Genene aveva il turno fisso, dalle 15 alle 23, quello che venne definito dai colleghi “il turno della morte” dato l’alto numero di decessi che avveniva in quell’orario da quando c’era lei. Nelle prime due settimane spirarono infatti sette bambini di cui uno soltanto risultava in pericolo di morte. All’ospedale i diretti superiori se da un lato la riconoscevano come un’infermiera zelante e probabilmente solo vittima delle gelosie dei colleghi, dall’altro nutrivano il dubbio che l’alta percentuale di decessi e la presenza di Genene fossero collegati.

Il vaso di Pandora venne scoperchiato in seguito al caso del piccolo Jose Antonio Flores, di sei mesi, ricoverato per sintomi non gravi e morto di lì a poco per arresto cardiaco, l’autopsia rivelò una massiccia presenza nel sangue del piccolo di un anticoagulante. L’infermiera venne tenuta sempre più sotto controllo ma i decessi continuarono indisturbati, l’astuzia della donna era tale che smascherarla non era facile. Venne inevitabilmente istituita un’inchiesta interna e Genene finì licenziata.

L’inchiesta portò a delle indagini da parte della polizia, si contavano 47 morti sospette al Medical Center Hospital di Bexar ma formalmente fu processata per soli dieci omicidi. Riuscirono a dimostrarne un paio, sufficienti a garantirle, il 15 febbraio 1984, a una condanna a 99 anni di carcere più altri 60 per le lesioni permanenti causate a uno dei pochissimi bambini che le erano sopravvissuti.


Condividi su:

Potrebbe anche interessarti...

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *