Delphine LaLaurie


la torturatrice di schiavi di New Orleans

Stati Uniti – un numero imprecisato vittime

Marie Delphine LaLaurie di New Orleans, nacque nel 1787 in una ricca famiglia di immigrati irlandesi. Si sposò tre volte e sempre con personaggi potenti e facoltosi: banchieri, avvocati, medici. Nel 1833, con l’ultimo marito, si trasferì al 1140 di Royal Street in quella che sarebbe diventata per lei il suo parco giochi personale e per altri una vera e propria casa degli orrori.

In Louisiana erano i tempi della schiavitù e la signora LaLaurie tra le sue proprietà aveva un grande numero di schiavi che si occupavano della casa e dei terreni. Le voci sulla donna erano discordanti, se da un lato era un personaggio di spicco della comunità, organizzatrice di feste e banchetti con personaggi illustri come ospiti, dall’altro le chiacchiere sulla sua condotta efferata con gli schiavi suggeriva un essere spietato e sadico.

Uno dei suoi servi provò ad andare dalle forze dell’ordine per denunciare che la padrona violava sistematicamente il black code, leggi farlocche che vietavano le violenze sugli schiavi. Sebbene la situazione per gli schiavi in Louisiana non fosse tragica e anarchica come per esempio nel Texas, le parole di una persona di colore contro la propria padrona contavano davvero poco, al massimo fomentarono qualche pettegolezzo e nulla più. Pettegolezzi però che non lesinavano episodi inquietanti, come quello in cui alcuni affermavano di aver visto la signora LaLaurie rincorrere e frustare una bambina nera finché questa, per sfuggire alle crudeltà della donna, si fosse gettata giù da un balcone.

La verità venne a galla solo il 10 aprile del 1834 quando un terribile incendio scoppiò nella villa di madama LaLaurie. In quel frangente successe qualcosa di assolutamente incomprensibile: quando i pompieri ebbero domato la maggior parte dell’incendio Delphine cercò di impedire loro l’accesso ad alcune stanze del palazzo. Per estinguere l’incendio però i pompieri e i volontari non badarono alle proteste della donna, immaginarono fosse solo un eccesso di pudore, o lo shock di assistere alla propria magione bruciare.

I motivi dell’ostruzionismo della signore LaLaurie furono chiari quando le stanze che lei voleva tenere sigillate vennero aperte. Vi trovarono delle vere e proprie camere di tortura con schiavi appesi al soffitto o incatenati al pavimento, percossi e lacerati, la schiena di una delle vittime era così segnata dalle frustate che dalle spaccature sulla carne si scorgevano le ossa, altri erano così disidratati che avevano perso conoscenza, altri ancora erano stati mutilati, ad altri erano stati spezzati gli arti e fatti guarire in pose innaturali. L’incendio non provocò tuttavia alcuna vittima, gli schiavi, sebbene in condizioni pietose, si salvarono tutti, compresa la vecchia cuoca settantenne che aveva appiccato l’incendio. La donna era incatenata alla stufa della cucina e aveva pensato che fosse meglio bruciare tutto piuttosto che finire portata dalla padrona nelle stanze ai piani di sopra, dalle quali nessun schiavo era mai tornato, se non dopo infinite sofferenze e senza vita.

Per Delphine LaLaurie non vi furono né processi né condanne in quanto, dopo il parapiglia che seguì alla scoperta degli schiavi torturati, fuggì in fretta e furia prima in Alabama e quindi a Parigi, dove non si ebbero più notizie certe su di lei.


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