Dorothea Puente


la padrona di casa della morte / nonna morte

Stati Uniti – dalle 9 alle 15 vittime

Il business degli ospizi è sempre stato redditizio, soprattutto se gli anziani si circuiscono e si spennano come polli, ancor meglio se poi li fai fuori, li seppellisci in giardino e ti intaschi le loro pensioni e le loro indennità senza dire a nessuno che hanno tirato le cuoia. Questo con molte probabilità fu il pensiero di Dorothea Puente detta in seguito “nonna morte”.

Dorothea Helen Grey (il cognome Puente è quello del terzo marito) nacque a Redlands, in California, il 9 gennaio del 1929. A quatto anni rimase orfana, il padre morì di tubercolosi e la madre in un incidente. Fu cresciuta da qualche parente e appena sedicenne andò a vivere da sola e si mantenne prostituendosi.

Era sua abitudine dare generalità false e inventarsi un sacco di frottole sul proprio passato. Il primo marito, Fred McFaul, un soldato, stanco delle menzogne della moglie la lasciò dopo due anni, lei non si crucciò troppo, diede le due figlie che avevano avuto in affidamento e si risposò ventitreenne con Alex Bert Johanson. Rimasero assieme per quattordici anni nonostante l’uomo l’avesse beccata più volte a letto con altri. Nel 1968 si maritò con Roberto Puente, molto più giovane di lei, assieme al quale capì la sua vocazione: aiutare i malati, gli infermi e gli anziani.

Aprì una casa di accoglienza per indigenti che in seguito fu costretta a chiudere per fallimento. Si sposò per la quarta volta e per la quarta volta tornò single, nel 1978 venne condannata alla libertà vigilata per aver falsificato 34 assegni della previdenza sociale, nel ’82 invece fu incarcerata per quattro anni per aver cercato di accaparrarsi tutti i beni di un anziano dopo averlo sedato.

Le cose non le erano andate proprio alla grande ma gli errori commessi le avevano insegnato molto: elaborò quindi un metodo e lo mise in pratica. Uscita di prigione, nel 1985 acquistò una vecchia villa vittoriana da sedici stanze al 1426 F Street di Sacramento e aprì una residenza per anziani.

Economicamente venne aiutata dal settantasettenne Everson Gillmouth che si era invaghito di lei, fatalità questi sparì dalla circolazione, due anni dopo il suo cadavere fu rinvenuto in un fiume.

Nell’ospizio di Dorothea Puente gli anziani erano trattati con riguardo, vestiti, nutriti in abbondanza, stavano bene e non si lamentavano, il problema era che dopo alcuni mesi, una volta che Dorothea aveva ottenuto la delega per ritirare sussidi o pensioni, questi vecchi sparivano.

La faccenda venne a galla nel 1988 quando un’ospite, Judy Moise, insospettita per la scomparsa dei coinquilini e forse anche preoccupata per la propria incolumità, avvisò la polizia. I detective si diedero da fare, all’appello ormai mancava un numero considerevole di anziani. Iniziarono a scavare. Nel vero senso della parola. Dal giardino dell’ospizio infatti saliva un nauseabondo odore. Vi trovarono sette corpi che corrispondevano ad altrettanti pensionanti scomparsi. Dalle autopsie emerse che i cadaveri erano zeppi di ansiolitici, sonniferi e altri psicofarmaci.

Durante gli scavi in giardino, Dorothea Puente scappò portando con sé un bel po’ di quattrini. Avrebbe potuto passarla anche liscia ma a quanto pare il lupo perde il pelo ma non il vizio, qualche tempo dopo infatti cercò di adescare un vecchio pensionato che la riconobbe e la segnalò alla polizia.

La oramai sessantaquattrenne Dorothea, nel 1993 fu processata e condannata all’ergastolo per l’omicidio di tre persone. Si stimò ne avesse uccise una quindicina, tuttavia dimostrare che aveva somministrato ad anziani, già zeppi di medicinali, dosi letali di psicofarmaci non risultò affatto semplice per l’accusa.

Dorothea Puente morì in carcere nel 2011 a ottantadue anni.


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